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Cosa mi ha insegnato la prima gara di tango

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Cosa mi ha insegnato la prima gara di tango

Ballo tango da poco più di un anno con pause, complicazioni e alterne vicende. Il nostro maestro ci ha proposto di fare una gara. Mi è sembrato assurdo: il tango è un ballo popolare, mica una danza sportiva! E poi siamo scarsi. E poi e poi, perché no? Soprattutto cosa ho da perdere? Alla fine è sempre il crampo dell’io-mio-me che ci rende competitivi ma anche rinuncianti e giudicanti verso chi compete. Non so voi ma io oscillo su e giù su uno yo-yo di “sono meglio” e “sono peggio”, più spesso questo.

Fare una gara è soprattutto un viaggio, non una meta. È pratica, costanza, allenamento, ascolto, resistenza alla frustrazione, fare pace col male ai piedi da tacchi. E così, con lezioni private (il nostro maestro abita in Sicilia), pratiche di musicalità in un gruppo molto più avanzato ma molto accogliente, passetto dopo passetto, la gara è arrivata.

Gara CIDS a Busto Arsizio, una sala spaziosa e bianchissima e un’organizzazione perfetta, il numero 38 da appendere alla giacca con le spille da balia. La mia mania estetica inizia quando metto le spille dall’interno in modo che le capocchie non si vedano, accortezza che hanno in pochi, ma venendo dall’odissi guai a me se avessi messo le spille a vista…

Nella nostra categoria siamo 19 coppie: entrata per mano, uno dopo l’altro e poi 2 tanghi. Abbiamo l’emozione nei piedi, negli occhi e nel respiro: intorno ci sono i giudici che guardano e il pubblico, c’è la tensione delle altre coppie, molti si conoscono e si fanno il tifo a vicenda, noi non conosciamo nessuno. Due tanghi volano, ci dimentichiamo di tutto e tutti, siamo solo noi, il nostro abbraccio e la musica.

Torniamo a sederci, eleganti come siamo entrati. Annunciano le 12 coppie che vanno in semifinale: wow ci siamo anche noi. I secondi 2 tanghi siamo più sciolti, pasticciamo meno, andiamo. Annunciano i 6 finalisti: non ci siamo. Scopriremo dopo di essere settimi, primi esclusi, per una sola crocetta.

Provo emozioni contrastanti: delusione, bello essere arrivati fin qui, curiosità di vedere i 6. Arrivano i 6 e la mia anima competitiva che faccio sempre finta di non avere si arrabbia: 3 coppie sono molto meglio di noi, più connesse, più in musica, più armoniche, ma le altre? Eh no, eh no, eh no. Ce la potevamo giocare.

Come tutte le emozioni, dura 2 minuti, mi passa e spuntano tutte le cose belle di questa esperienza: gratitudine per chi balla con me e chi mi insegna a sentire o sprona a fare, gratitudine per poter vivere questa esperienza e osservare quello che succede dentro e fuori di me, umiltà per tutte le cose da imparare, bellezza perché quando si balla e ci sono solo abbraccio e musica il tempo ordinario sparisce e si entra in uno spazio fatto solo di presenza e ascolto. Sono felice. Siamo felici. Non litighiamo, anzi, siamo più connessi.

E la cosa più bella è che, ieri, giorno dopo la gara, siamo andati a ballare in milonga, più sicuri, più connessi, più rilassati. Non sono mai stata seduta e ho ballato con uomini mooolto più esperti di me, fregandomene di sbagliare o non sapere. Ho cercato di ascoltare e sentire con il petto, la tempia, la mano (tango è proprio tatto) senza lasciar entrare il pensiero. Perché come dice un compagno di corso “Non esistono passi sbagliati, esistono solo passi nuovi”.

Nel tango e nella vita.